La Conca di Sant’Egidio presentava un’area lacustre molto estesa, contornata da immensi e lussureggianti boschi che si prestavano benissimo alle attività predatorie (caccia e pesca) dei musteriani.
Numerosi i reperti archeologici riferiti a questo periodo: strumenti litici di tecnica musteriana, raschiatoi in selce (denticolati, frontali, carenati, a muso), bulini e altri manufatti a scheggia.
Il villaggio era stato già frequentato da pastori neolitici transumanti che si recavano al vicino lago ad abbeverare i loro armenti.
In piena età del ferro (I millennio a. C.) gruppi di Illirici-Dauni si stanziarono nel sito, attratti dalle acque del lago sottostante e dai lussureggianti boschi ivi esistenti.
In seguito, il villaggio divenne una Statio seu posta di una via romana che proveniva dal vicino insediamento di Bisanum e proseguiva a Est verso Monte Sant’Angelo.
Questo tracciato nel 1030 veniva rubricato nei documenti come Via Francesca, detta poi (per antonomasia) Via sacra dei Longobardi, riferita alla presenza dei Longobardi sul promontorio garganico ed in particolare sulla Montagna dell’Angelo.
Nel secolo XI, agosto anno 1086, la Chiesa Sancti Aegidii seu Gilii in prato gargano,non ancora del tutto costruita (ecclesia cepta, nondum autem peracta), veniva donata dal conte normanno Enrico all’Abate Pietro del Monastero benedettino della SS. Trinità di Cava dei Tirreni. Ad essa si aggiungevano alcuni terreni e sette servi con le loro rispettive famiglie, cinque dei quali provenienti dal Castello di Rignano. Nello stesso atto venivano comprese, sempre in donazione, altre due chiese, l’una intitolata a Santa Maria della Carità e l’altra a San Michele, sita sul monte sovrastante Sant’Egidio “ ad ecclesiam Sancti Michahelis que modo destructa est usque ad eundem montem super ecclesia positum”.
Il Conte, inoltre, permetteva che chiunque potesse offrirsi come oblato o farsi monaco nella chiesa di Sant’Egidio.
In un altro atto, sempre a firma del conte normanno Enrico (agosto 1086 ) si offriva alla Chiesa di Sant’Egidio la chiesa di San Pascasio, situata in Monte Gargano.
In seguito, questi possessi furono riconfermati dalle bolle di papa Urbano II (settembre 1089) e di Pasquale II (agosto 1100).
In un privilegio del conte Enrico (dicembre 1098), riferito al Casale dei SS. Filippo e Giacomo presso Lucera, vi erano precisi riferimenti alla Chiesa di Sant’Egidio de prato gargano. Il conte concedeva l’esenzione dalle tasse per i coloni abitanti nelle terre appartenenti alla Chiesa e rinunciava a qualsiasi diritto, suo e dei successori, su quanti fossero andati ad abitare nelle terre appartenenti alla detta chiesa (in perpetuum habeant libertatem) e si permetteva anche agli abitanti di Siponto e di Monte Sant’Angelo di compiere liberamente compravendite e donazioni con la suddetta chiesa e con i suoi vassalli (eidem ecclesie Sancti Egidi de prato gargano aliquid ex rebus suis vendere vel dare seu offerre aut cum hominibus ipsius ecclesie vendere vel dare seu quolibet modo alienare, potestatem habeat absque omni contradictione nostra vel heredum nostrorum seu successorum).
Successivamente, nasceva un vero e proprio Priorato dipendente dall’Abate di Cava dei Tirreni.
Il frate Samaro fu il primo priore (1111-1115) che stipulava ben diciannove atti di compravendita riguardanti terreni siti in Pantano subtus monte Calbo seu iuxta ecclesiam Sancti Gilii, con regolari diplomi e decreti.
Frequenti furono le liti e le cause scaturite e discusse tra i Monasteri della SS. Trinità di Cava e di San Giovanni in Lamis (oggi Convento di San Matteo) e riguardanti beni, possedimenti e pertinenze insistenti nell’area del Pantano di Sant’Egidio ovvero del Lago.
Con l’arrivo dei nuovi dominatori normanni, il Monastero della SS. Trinità di Cava aveva aumentato in modo notevole la sua potenza ed il numero delle proprie dipendenze in molte zone del Mezzogiorno e della Capitanata in particolare.
Ad esempio, nel settembre del 1130 veniva discussa in giudizio a Monte Sant’Angelo una causa tra l’Abate Desiderio, rappresentante del Monastero di San Giovanni in Lamis e dal Priore cavense Goffredo di Sant’Egidio de Pantano, alla presenza dei testimoni Benedetto de Franca (de Sancto Johanne Rotundo), Fraimundo, Giovanni Zito, Alkerio e Giovanni Baccarum.
La vertenza tra i due Monasteri raggiunse il suo apice nell’anno 1227, riguardante i diritti di pesca nel lago omonimo e si concluse (in primo grado ed in appello) con la condanna definitiva del Monastero di San Giovanni in Lamis.
Già nell’aprile del 1136, si era formato un vero e proprio Casale attorno alla Chiesa, come risultava in un atto di vendita ove un certo Nandolfo, abitante a Monte Sant’Angelo, vendeva a Giovanni, Priore di Sant’Egidio, un terreno sito in Pantano, ad Ovest del Casale, lungo la strada che conduceva a San Giovanni Rotondo. In seguito ressero il Priorato di Sant’Egidio (qualificati come presbyter et monachus) Goffredo, Giovanni, Guido, pietro, Goffredo (1125-1188). Nel 1197 il Priorato assurgeva a titolo di Monastero sotto la guida dell’Abate Giovanni.
Tra i Priori, menzionati in epoca successiva, si ricordano Santoro, Benedetto, Corrado, Nicola (1203,1286).
Molti furono, poi, gli atti stipulati-chartae oblationis da Priori
o baiuli di Sant’Egidio (Sancti Egidii seu Stagni,1144-1205), in rappresentanza dell’Abate della SS. Trinità di Cava, assistiti da regolari avvocati e giudici.
Nel Casale vi erano una Chiesa ( intitolata a Santa Maria de Sancto Egidio, altare principale ), forni, mulini, botteghe artigianali ed un Ospedale dedicato a San Benedetto, anno 1133 (Hospitale Sancti Benedicti, in una località detta Vena Gatti).
L’ospedale veniva citato in un documento del 5 ottobre 1282, rogato a San Giovanni Rotondo, ove si menzionava una vigna sita nel territorio di Sant’Egidio, in località denominata Ospitale “ in tenimento Sancti Egidi, in loco ubi dicitur Ospitale”.
Il Casale risultava ancora menzionato in alcuni privilegi di Federico II, risalenti al 1221,1231, ma di già si cominciava a riscontrare una incipiente decadenza.
Nel 1270 gli abitanti del Casale, per sfuggire alle rovinose incursioni delle bande di briganti che allora infestavano le terre garganiche, si trasferivano nel vicino Castello di San Giovanni Rotondo, ben munito di mura e di torri (quindici) per la difesa.
Il 10 marzo 1270, il re Carlo d’Angiò, da Capua ordinava al segretario di Puglia che al Monastero di Cava venissero riconfermati i possessi di Sant’Egidio e di San Nicola e nel descrivere i limiti di detti territori riportava Sant’Egidio come Casale diruto “ Tenimenta dictarum Ecclesiarum Sancti Egidi et Sancti Nicolai de Pantano sunt haec: Casale dirutum, quod dicitur Sanctus Egidius, cum pantano, vineis, terris cultis..”.
Nell’ottobre del 1282, 12 abitanti di San Giovanni Rotondo risultavano di avere in concessione terre e vigne nel territorio di Sant’Egidio, come si evince dalle deposizioni da loro stessi rese al Giustiziere di Capitanata Giovanni Mansella di Salerno, davanti al cui tribunale erano stati citati dal preposito e procuratore di Cava, Matteo. E furono proprio le difficoltà incontrate dagli Abati cavensi nell’amministrare le terre del lontano Casale, ad indurli a cedere in affitto per 5 anni, nel marzo del 1295, l’intero Priorato con tutte le sue rendite al nobile Guglielmo de Ponciaco, magister hostiarius del Papa, cui fu imposto il mantenimento di un monaco addetto all’officiatura della Chiesa di Sant’Egidio e di quella di San Nicola.
Una condizione analoga veniva indicata anche nel giugno del 1304.
Nel 1506, il re Ferdinando il Cattolico, con un decreto riconosceva al Monastero di Cava il possesso del Casale di Sant’Egidio e del Monastero di San Nicola.
La documentazione dei secoli XVII-XVIII evidenziava che anche nei secoli precedenti la custodia della chiesa era stata affidata ad un oblato cavense, mentre all’officiatura provvedeva un sacerdote di San Giovanni Rotondo. Nell’ottobre del 1602 era documentata l’esistenza di una Confraternita laicale, i cui soci si adoperavano a che vi fossero eseguiti immediati interventi di restauro, dato che la chiesa minacciava di crollare. Nel 1613 vi si celebrava la Santa Messa ogni sabato e con grande concorso di popolo, ma la Chiesa aveva bisogno di restauro ed era priva di calice, del messale che il celebrante portava seco da San Giovanni Rotondo. Sull’altare maggiore vi era un quadro della Madonna. Nel 1630 un visitatore cavense ordinava all’officiante don Giuseppe Caterina di sistemare l’acquasantiera ad un’altezza maggiore, onde impedire che i fanciulli potessero inquinare l’acqua benedetta. Gli officianti, inoltre, avevano diritto al titolo di rettori o di arcipreti sipontini.
Nel 1725 veniva compilata una Platea afferente tutti i beni esistenti nel Casale di Sant’Egidio. Il 22 dicembre 1726 (istrumento rogato a Napoli), il Monastero di Cava cedeva in enfiteusi a don Carlo Oneri Cavaniglia, duca di San Giovanni Rotondo, tutti i beni contenuti nella suddetta Platea (contratto di censuazione fino alla terza generazione della casata ducale). L’annuo censo fu stabilito nella misura di centodieci ducati d’oro, di cui dieci per tutte la spese di mantenimento e di restauro della chiesa e per la celebrazione di cento messe. Il monastero cavense versava 10 ducati d’oro all’anno all’officiante della Chiesa.
Il due agosto 1806 veniva emanata la legge eversiva che aboliva la feudalità in tutto il regno di Napoli. Il regio commissario Biase Zurlo quotizzava il demanio di Sant’Egidio, in parte di già occupato abusivamente da privati cittadini, così come era avvenuto nei ricchi demani della Mattine e della Costarelle, sempre nel territorio di San Giovanni Rotondo.
Il rappresentante del Re, con regolari mappe preparate da tecnici autorizzati dai Decurioni del Comune di San Giovanni Rotondo, non fece altro che ratificare (in gran parte) situazioni già di fatto esistenti.
Nel Marzo 1808 i suddetti Decurioni, con l’assistenza degli agenti ripartitori, compilavano una Mappa dello stato dei Demani del Comune di San Giovanni Rotondo, incamerando definitivamente tutti i beni, territori, dipendenze, dell’ex Casale di Sant’Egidio e del Monastero di San Nicola di Pantano, con una estensione, per approssimazione, di carra centodieci, di cui tredici a coltura e novantasette carra incolti. Possessore: Università di San Giovanni Rotondo.
Con successive delibere il Comune cominciava a quotizzare il Demanio di Sant’Egidio, assegnando le terre a privati richiedenti e riconfermando, nello stesso tempo, il possesso a coloro che nel passato già si erano insediati de iuribus et de facto. Non mancarono, a tal proposito, veri e propri tumulti popolari, riguardo a dette concessioni, viste spesso come elargizioni e favori ai soliti noti o parenti.
Infatti, il 17 dicembre 1903 ci fu una vera e propria sommossa popolare a San Giovanni Rotondo e circa 400 cittadini protestarono davanti alla sede municipale per il fatto che duemila quote risultavano assegnate con favoritismi, privilegiando persone che non possedevano proprio i requisiti prescritti.
Tutto il lago di Sant’Egidio risultava prosciugato nell’anno 1910 (in gran parte merito del sindaco Michelangelo Sabatelli) e le terre furono gradualmente bonificate, furono create le porche, circa mille metri quadrati e tanti contadini ebbero una loro concretezza di vita, allontanarono dalle loro case la miseria e spezzarono con dignità ai loro figli il pane e nella Terra essi videro lo stigma reale di un riscatto secolare, abbrutiti da una realtà che li rendeva non uomini ma cose, senza voce, senza volto, senza nome, un semplice segno di croce (anche loro, purtroppo, erano delle creature di Dio) su di un foglio, nelle mani di un padrone non sempre leale ed umano.
Oggi il Casale di Sant’Egidio è presente nelle tre torri dello stemma della città di San Giovanni Rotondo:
“ Lo stemma comunale è costituito da uno scudo sormontato dalla corona ducale che rappresenta il titolo del feudatario di questo territorio. Nel capo dello scudo, a fondo azzurro, sono disegnate tre torri merlate alla guelfa che indicano i tre borghi: il Castel Pirgiano, Sant’Egidio e le Perni, i cui abitanti concorsero a costituire l’abitato di San Giovanni Rotondo.
Nel mezzo si erge la Rotonda del tempio di San Giovanni Battista, originariamente dedicato a Giano, divinità pagana, alla base si adagia un agnello con una bandiera, simbolo che accompagna l’immagine del santo patrono, il quale soleva annunziare il Messia dicendo alle genti ” Ecco l’agnello di Dio”.
Il vessillo bianco, la cui asta è posta in senso diagonale, è il simbolo della vittoria del Redentore sulle forze del male”.
(Statuto del Comune di San Giovanni Rotondo, art.86. Delibera del Consiglio comunale n.126,06.11.2000. Entrato in vigore il 17.01.2001).
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La Chiesa Sancti Gilii de prato gargano originariamente era a pianta basilicale, ad una sola navata: lunghezza di m.30, larghezza di m.8 ed altezza media di m.7, con un’abside semicircolare (ampiezza pari ad un terzo della lunghezza interna, con una monofora romanica ).
Nell’interno vi erano tre arcate a forma greca mentre altre, a forma gotica, si intersecavano al vertice per sostenere una cupola a sesto rialzato.
Preziosi affreschi arricchivano i muri perimetrali. Nel XVIII secolo questi dipinti venivano negligentemente ricoperti con intonaco, secondo l’uso del tempo, lasciandone scoperto solo qualcuno, di cui oggi non restano che frammenti nella parte absidale. Per la celebrazione dei sacri riti vi erano parecchi altari, dedicati a Sant’Egidio, alla Santissima Trinità, alla Madonna (altare principale ).
Sulla facciata, la cui prospettiva terminava ad angolo retto (simile a quella della Chiesa di Sant’Onofrio, San Giovanni Rotondo) si apriva un magnifico portale a tutto sesto, finemente scolpito con motivi ad intreccio e sormontato da una lunetta rettangolare che in origine doveva contenere probabilmente un’epigrafe. Più in alto ancora, un rosone, con colonnine gotiche a raggiera, abbelliva la facciata stessa.
La Chiesa fu più volte restaurata e restò aperta al culto fino alla fine del XIX secolo.
Il popolo di San Giovanni Rotondo, durante le feste pasquali, si recava in processione al tempio mariano del diruto Casale per celebrare i sacri riti e per sciogliere superstizioni e voti, concedendosi, anche, a interminabili gozzoviglie e a feste campestri. In questo stesso periodo, le zitelle sangiovannesi, con un pellegrinaggio pittoresco e privato, si recavano pure loro a Sant’Egidio, percorrendo a piedi nudi quasi tre chilometri di strada polverosa e piena di pietre e, una volta giunte, deponevano i loro calzari dietro l’altare maggiore della Chiesa, in segno di ex voto pro nuptiis (nella speranza di sposarsi …!).
Tutto questo fu proibito con un decreto del Cardinale Vincenzo Maria Orsini (Papa Benedetto XIII) nel 1676. L’interdetto non venne però osservato ed il popolo continuò a celebrare riti e costumanze varie.
Oggi del tempio, annoverato dagli studiosi fra le Cattedrali di Puglia, non restano che i muri perimetrali, la parte absidale, la facciata in piena rovina, il rosone simile ad un occhio ciclopico spento ,alcuni frammenti appena intellegibili di affreschi. Forse un sollecito restauro potrebbe in parte ancora recuperare uno dei gioielli dell’architettura sacra del Medioevo, a testimonianza che quel sito fu uno dei centri propulsori di civiltà e di vita monastica sul promontorio garganico.
Il presente è certamente popolato di echi: parole, suoni, sospiri di antiche generazioni che si fanno storia nella Casa della Memoria di un popolo. Immagini e stigmi che rivivono nel lago del cuore degli umani e si fanno dolce Rimembranza.
Verso Est, là dove nasce il sole (ai piedi di monte Corniello), ad un chilometro di distanza dalla Chiesa di Sant’Egidio, un altro luogo sacro benedettino, dedicato a San Nicola e sede di un Monastero (Sancti Nicolai in capite Pantani, sec. XI), attende di essere restaurato e salvato dalla damnatio memoriae (1).
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(1) ARCHIVIO CAVA DEI TIRRENI (ACT) , arche XVIII, 25, XIX, 59, 65, 70, 71, 99, XX, 21, XXII, 105, XXIII, 9, 22, 61, 113, XXIV,112, XXV,4,12,39, XXXI,17,103, XXXVI,36, XXXVII, 70,71, XXXVIII,33,108, XXXIX,114, XLI, 94, 96. XLV, 29, 60, XLVII, 51, LIII, 9, LVII, 57, lXI, 6, lXII, 89, XCVIII117, 118, CXLV, 1, 3. FONDO CARTACEO ACT, nn. 3177, 3210, 3215, 3252, 3253, 3255, 3360, 3374, 4717, 4756, 4813, 4816, 4987, 5029, 5322, 5324, 5327, 5328, 5362, 5555, 6077, 6628, 6838, 6996, 7181, 7203, 7251, 7340. ARCHEOCLUB di San Giovanni Rotondo,Un Monumento da conoscere. Chiesa di Sant’Egidio di Pantano, San Giovanni Rotondo 1998. Cronicon monasteri cavensis, MGHSS, Hannover 1826. F. CARABELLESE, L’Apulia e il Comune nell’alto Medioevo, Bari 1969. C. COLAMONICO, Note geografiche sul Gargano, annuario 1923 – 24, del R. Ist. Sup. Sc. e Comm., Bari 1925 ed altri. P. CORSI, Appunti di Storia su due luoghi della Via Sacra Langobardorum: l’ex Casale di Sant’Egidio e l’ex Convento di San Nicola., in Atti del Convegno sulla valorizzazione del Pantano di Sant’Egidio, op. Cit. pp. Pp.123-137. S. A. GRIFA, il Casale di Sant’Egidio sulla via Sacra Langobardorum, op. Cit. IDEM, Le origini di San Giovanni Rotondo,Taranto 1989, p.41. IDEM, San Giovanni Rotondo. I segni della memoria, op. Cit., pp.105-116. IDEM, Alla ricerca di un Casale perduto, foggia 1991. IDEM, sant’Egidio del prato garganico, Foggia 1993. IDEM, San Giovanni Rotondo. Le pietre del sole e della luna, op. Cit. pp. 25, 40-42. J. M. MARTIN, Les actes de l’abbaye de Cava concernant le Gargano (1086 – 1370), Bari 1994. M. MELILLO, Valorizziamo la Chiesa di Sant’Egidio, in Il Pirgiano, XV, 2, Foggia 2004, pp.3,5. F. NARDELLA, Memorie storiche di S. Giovanni Rotondo, brescia 1960, pp. 41-47. A. PETRUCCI, Cattedrali di Puglia, Bari 1969. L. RANIERI, La Conca del lago di Sant’Egidio sul Gargano, cit. A. TANCREDI, Sant’Egidio in Il Gargano, San Marco in Lamis 1950, p. 3.