I Pellegrini
(19 maggio 1898)
Arrivarono i primi la mattina del giorno 28 aprile, i secondi nel giorno 29; nel giorno 30, sette compagnie, nel 1° Maggio, otto compagnie, e così di giorno in giorno. Quale bella azione cattolica non è mai questa dei Pellegrini! e la cronaca ne scrivo inzuppando la penna più nelle lagrime che nell’inchiostro. Questi Pellegrini non mentiscono il loro nome, e sono pellegrini nel vero senso della parola ed hanno un sistema nel pellegrinare ben ideato ed eseguito. Essi hanno i loro capisquadra e sottocapi, ed anche le donne hanno maestre che le conducono e le guardano: durante l’anno raccolgono le offerte da dare ai Santuari, e il giorno stabilito partono dai loro paesi del Subappennino e da altri luoghi, come da Cassino, ecc. non prima essersi confessati, comunicati, benedetti e d’aver aggiustate le cose loro di famiglia. La loro marcia e la disposizione di essa è cosi fatta.
Gli uomini vanno divisi dalle donne, e formano un’avanguardia ed una retroguardia ma a distanza: portano ciocie a piedi pel passo più leggiero e non sentir polvere bruciante alle carni, e le donne vestono nei loro costumi, appariscenti e spesso antichi e sempre belli, però in testa portano un gran fagotto con abiti nuovi e biancheria pulita; spesso al disopra di quel fagotto l’ombrello che gli uomini portano pendente dalla spalla sinistra; questi poi portano una bisaccia con abiti e da mangiare: alcuni anche una coverta. Tutti hanno a tracolla un sacco a pane ed una borraccia, tutti ai appoggiano ad un bastone alto montato dalla Croce. Talune compagnie si compongono di centinaia di persone, e portan seco un buon sacerdote che è loro duce e assistenza. Come sono presso le città dove sono i Santuarii, si raccolgono in uno, inalberano la Croce, spesso con panno rosso, e con fanali ai fianchi, poi un drappello di pellegrini, le pellegrine nel mezzo, con altri pellegrini che chiudono; ed al suono d’un campanello che precede, per loro tromba e tamburo, (taluni portan seco anche i pifferai) si scoprono, intuonano le Iitanie ed a passo cadenzato cominciano la marcia in santa modestia. Cantano pochi uomini in tono supplichevole, rispondono ora pro nobis tutti i pellegrini in tono minore a frase spezzata e quella risposta a voce grave degli uomini, a voci soprane delle donne ed a contraltini di fanciulli e fanciulle, muove il cuore e lo spinge a dolci singulti e soavi lagrime. Questi pellegrini vanno col sole e colla pioggia, entrati in chiesa camminano a ginocchio sino alle immagini sacre, pregano, piangono, largiscono, fanno limosine a poverelli dividendo con essi il loro pane, o se occorre, soffrono in pace qualche sberleffo insolente. Se c’è tempo, messe in vesti pulite le donne, accompagnate dai loro uomini, fanno il giro di altre chiese. Le donne riposano in vari luoghi adatti per esse, gli uomini, per lo più al sereno. Dopo la mezzanotte il campanello li sveglia e ripigliano la marcia religiosa cantando devote canzoncine. Ecco le loro stazioni: in Madonna del Soccorso a Sansevero, S. Matteo fuori S.Marco in Lamis, S. Giovanni Rotondo, fermata S. Michele al Gargano, S. Maria di Siponto a Manfredonia, l’Incoronata di Foggia: ossia più centinaia di chilometri sempre a piedi. Dopo Foggia a casa benedetti da Dio. Fra questi pellegrinaggi ve ne sono alcuni più civili; ne vodemmo uno di giovani baldi e di vaghe donne in buone vesti e divozione molta, che avean seco varii carri per gli effetti d’uso e molte cavalcature. Ma questa roba resta fuori città. Un altro era composto quasi tutto di donne, belle cassinesi, e pochi uomini robusti. In alcuni i cantori cantano le litanie a tuono Gregoriano e sanno le cose liturgiche come preti. Questi i Pellegrinaggi pugliesi. Quale predica il loro esempio, come potente la loro preghiera!
A proposito di Pellegrinaggi, il zelantissimo Mons. D. Carlo Mola, Vescovo di Foggia, per la riapertura del Santuario della Incoronata rubbricava una notificazione saggia, e ricca di pietà, ed unzione.
– Non contento Mons. Mola dl questa prima notificazione il giorno dopo i moti di Foggia, 28 aprile, per in questione del pane, moto di tento gravità e danno, faceva sentire in una voce, colla quale, non entrando nei motivi che consigliarono quei deplorevoli eccessi, e ritenendo che la solo miseria ne fosse causa, consigliava ed esortava ed umiliarsi a Dio, perchè per i peccati vengono i castighi, portò la sua parola di pace, invitando a placare il Signore, ed aver fiducia nelle autorità e nel concorso dei più facoltosi cittadini che con amorosa sollecitudine provvederanno – come hanno provveduto – ai più urgenti bisogni.
– Dallo stesso Mons. Mola poi abbiamo ricevuto un libro santo dedicato ai suoi seminaristi: La vita dei sacerdoti nei nostri tempi (Napoli – Festa, L. 2) Il quale dimostra appieno la dottrina, la pietà, lo zelo dell’ottimo pastore.
(da I Pellegrini in L’Ape Cattolica Sanseverese, settimanale illustrato, pagg. 158-159, Sansevero, 19 maggio 1898)