Nel mese di Aprile 2020, in piena diffusione del coronavirus, partiva da San Giovanni Rotondo copia di un testo poetico intitolato “Dopo il Coronavirus miglior vita verrà”, inviato all’On. Sergio Mattarella, Presidente della Repubblica Italiana. L’autore è Michele Totta, Tecnico di Radiologia in pensione, sensibile e appassionato poeta, amante della cultura. Accompagnava il componimento una lettera di petizione per l’assegnazione di alta onorificenza a Medici ed Infermieri. Il Totta, “interprete sincero del desiderio degli Italiani; certo della loro immensa gratitudine; col dovere culturale di tener vivo il ricordo” ha sollecitato il Capo dello Stato “di concedere la Medaglia d’Oro di Civile Merito al Nazionale Ordine dei Medici e alla Nazionale Federazione degli Infermieri, per aver onorato con esemplare condotta il giuramento di Ippocrate, pagando con la vita….”.
Poco tempo dopo il nostro Presidente con una cerimonia ufficiale insigniva dell’onorificenza di Cavaliere al Merito della Repubblica un nutrito gruppo di cittadini, tra i quali figurano anche medici e infermieri, distintisi esemplarmente durante l’emergenza sanitaria, ognuno nel suo ruolo.
«I riconoscimenti, attribuiti ai singoli – spiegava il Quirinale – vogliono simbolicamente rappresentare l’impegno corale di tanti nostri concittadini nel nome della solidarietà e dei valori costituzionali».
Successivamente sul territorio nazionale si sono susseguite le manifestazioni di solidarietà e ringraziamento a favore del personale ospedaliero per essersi adoperato per la cura e il salvataggio di tantissime vite umane durante la pandemia, in condizioni di enorme stress fisico e psichico. E’ mancato, però, il riconoscimento Ufficiale di una onorificenza specifica a favore delle intere categorie di medici e infermieri. Peraltro tale riconoscimento sarebbe il miglior modo per stigmatizzare la posizione assunta dai negazionisti e da chi, in dispregio di ogni evidenza, afferma che “Coviddi non c’è”.
Nell’attuale situazione di emergenza sanitaria globale, abbiamo potuto constatare che medici e infermieri prestano fede con grande dedizione al giuramento di Ippocrate, curando ogni paziente con scrupolo e impegno e promuovendo l’eliminazione di ogni forma di disuguaglianza nella tutela della salute. Tant’è che non discriminano coloro i quali si fanno beffa delle regole disposte dalle autorità sanitarie per combattere il coronavirus. Costoro si sentono lesi nella loro “libertà” e nei diritti personali senza accorgersi che sono proprio loro, con l’inosservanza delle norme sanitarie, che attentano alla salute e alla libertà di tutti.
Il Capo dello Stato dovrebbe accolgliere la richiesta di conferimento della Medaglia al Merito Civile, aggiungendovi anche altre categorie di personale impegnato nella lotta a Covid-19, com’è sicuramente desiderio di tutti gli italiani che sanno ancora dire “Grazie” a chi lo merita.
Leggendo il componimento poetico di Michele Totta il lettore rivive il dramma della pandemia e il senso di impotenza dell’uomo di fronte ad eventi più grandi di lui. Dopo Crociate, pestilenze, lampo atomico , stragi di popoli e carestie, che hanno caratterizzato la nostra storia, mai l’uomo aveva incontrato un nemico invisibile così infido da costringere la poesia del Totta a difendere “a mani nude” e a narrare “l’umanità presa ai ceppi di ferro, nel segno letale del coronavirus”.
Il poeta ricorda in versi le stragi e l’accanimento di Covid-19, le norme regolamentari dello Stato dettate in situazione emergenziale (“un capestro nuovo il decreto a fermare l’invasione dell’alieno”), le difficoltà di spostamento dei cittadini “con maschere e guanti senza tattica di fanteria” come se si dovesse partire per una guerra di cui si sa che non si può contare sull’aiuto degli amici, della scienza o di armi segrete.
Scorrono sotto i suoi occhi carri militari con le vittime del Covid mentre le pupille stentano a trovare un fiore, il compianto o il prete che officia la liturgia.
“Le idi di marzo 2020 – dice – raccontano una disfatta piena; ma l’eroismo di medici e infermieri va posto nell’urna/ della storia.” Poi le incertezze della scienza, le chiacchiere vuote, con l’umanità toccata da una pandemia epocale e dal pandemonio sociale. Infine appare madre Terra ridotta in rovina, bistrattata dalle attività dell’uomo. Nessuna nazione si salva.
“Il virus – osserva il poeta – ci sputa in faccia la rabbia sua; s’è fatto beffe dell’umanità e dei potentati commerciali che a rovina/ hanno messo il geniale equilibrio della Terra, colmata/ora d’incalcolabile pattume, metalli pesanti nelle acque,/plastica ovunque …”
Ecco dunque che intuisce l’antidoto per far cessare la ribellione della natura contro l’uomo: “la terra anela un vestito nuovo!”.
I versi finali, forse i più belli, attribuiscono al Coronavirus un significato biblico aperto alla speranza di redenzione dell’uomo che, dopo questa piaga, si appresta a vivere l’alba di un nuovo giorno. Ma solo leggendo l’intero componimento si riesce a percepire il pathos di un’opera meritevole di plauso, che è dedicata, in periodo di Coronavirus, a chi ha lavorato duro, a chi ci ha rimesso la vita, allo Stato che ci ha salvati, a chi ha creduto in bene.
Per ingrandire e leggere l’intero testo poetico cliccare sull’immagine della pergamena.
Buona lettura.
Giulio G. Siena