San Giovanni Rotondo. Gennaio 2004, lunedì diciannove.
L’aria gelida della notte non si è sciolta. Si riflette nel grigio perla del cielo, indifferente, senza luci e ombre. In questo aderente letargo, torno nella cripta di Padre Pio, per un momento vuota.
I silenzi delle rose, il crepitare lieto della lampada a olio, invitano a intimi colloqui col Padre. La crepuscolare penombra sa di attesa ed incenso.
Piego il ginocchio accanto alla colonna, che regge l’epigrafe a firma di Paolo VI papa. Padre Pio è vicino, due metri sotto il puro granito, col capo nella posizione stessa del Cristo dell’altare per l’eucaristia. Uomini e cose mi hanno liberato.
L’agitazione è lontana. Sospese tra il tempo e l’inganno, le corde dell’anima sono in preghiera e contemplazione. Ogni volta, qui è un idillio di pace vera. Un conforto sereno mi pervade, quasi rigenerazione. “Conta le rose, solo le rose!” incita, distinta e sommessa, una voce. Non comprendo. Farnetico. Che c’entrano le rose? Una, due, ottantuno. Alcune in boccio, altre dilatate, nei loro distinti sentori. Le rose sono ottantuno, color rogo della forgia (T.W. Month), come gli anni di Padre Pio. Penso di contare anche le spine. Come si fa a contare le spine di ottantuno rose? C’è, tra me e loro, l’inferriata e un sepolcro da non profanare. Nei vasi di vetro, gli steli allungati e cupi come radici, sembrano calati nella eternità.
E il Padre non sarebbe geloso, se contassi le spine?
Avrebbe gelosia, eccome. Le spine le ha volute per Sé, caricandosi le spalle di ogni nostra sofferenza. A noi ha indicato il candore della preghiera. Questa, sì, vuole da noi. “Prega, spera, non agitarti. Il miglior conforto viene dalla preghiera”… me lo aveva detto. Ero giovane. Non capivo.
Oggi è disvelato il senso del contare le rose. Nei momenti che restano, tra presente e futuro, mio pane sarà la gioia, l’armonia con me stesso e gli altri. Ne saranno partecipi amici, parenti, perfino sconosciuti.
Questa certezza, ignara beatitudine, ci è donata da chi è passato sui carboni del dolore corporale, spirituale, morale. Da chi ha cercato le spine come oblazione, cioè patimento che redime, serbando ai figli secondo lo spirito e devoti ogni consolazione. Essere gioia. Vivere la gioia. Farla trovare anche agli altri. Ecco il senso del contare le rose. Esse sono portate ai tuoi piedi, Padre dolente e santo, perché ne divori le spine e i cuori vestano la serena gioia.
Come mai prima, scopro il senso gaudioso delle rose, romantico fiore degli amanti, generoso, cortese, sincero. Intendo anche il motivo della rosa di vetro – simile ad un fiammifero – che mia moglie Titina, ha posato nella tua mano aperta del busto di peltro, nella nostra camera. Quella rosa è la chiave del nostro avido amore, col privilegio di chi lo benedice. Sappiamo, Padre Pio, che ti curi di noi. Della nostra dignità. Ci saziano ogni giorno le rose, di purezza e perdono.
Questo pensiero spiega la vita, come il farsi nella creazione d’un prodigio. Lo stesso, che nutre i passeri muti, infreddoliti e le gemme minuzzate dell’olmo, sul piazzale del Santuario.
E’ una spianata feconda la vita; anche d’inverno dà alla luce il fuoco del sole e disegna il volto alle primavere. Ci consegna gesti e sorrisi non aspettati. Sorrisi e gesti, che nella nostra mente accendono la bellezza, la tenera bellezza (N. Gogol) di sentirci amati.
Perciò grido al mondo di contare solo le rose.
Pubblicato su Leggere, anno XVII, ottobre 2003 – marzo 2004 – n. 49-50. Casoria – NA
Tratto da “Frammenti di Gioia – i miei sessant’anni” di Michele Totta – Stampato in proprio – Agosto 2009