Le origini del sollievo della sofferenza Il desiderio di Padre Pio di alleviare la sofferenza umana si è realizzato il 5 maggio 1956, con l’inaugurazione dell’Ospedale Casa Sollievo della Sofferenza. Era un desiderio molto antico: nacque quando Padre Pio era giovane. L’autore pensa di poter affermare questo, esaminando alcuni episodi dell’infanzia di Francesco Forgione (il nostro Padre Pio) e alcuni dei saggi che egli scrisse a scuola, nel 1902, quando aveva solo quindici anni. In uno dei suoi componimenti Francesco si descrive come un ragazzo che dà mezzo penny a un uomo ridotto in miseria. In un altro dà una moneta a un bambino povero, per permettergli di comprare del pane e delle medicine per la madre malata. Nel terzo si pone a capo di un gruppo di persone che raccolgono denaro per un povero orfano. Nell’ultimo scritto, preso in esame, Francesco descrive la carità mostrata da alcune suore e sacerdoti in un ospedale. Sembra la descrizione anticipata del suo ospedale, inaugurato il 5 maggio 1956. Questa introduzione è ricavata dall’originale, in lingua inglese: The origins of the relieve of suffering “Padre Pi’s desired to rilieve human suffering came true, on 5th May 1956, with the opening of the Hospital The Home for the relief of Suffering. This was a very ancient desire: it began when Padre Pio was young. The author feels this assertion, looking at some episodes of Francesco Forgione’s (our Padre Pio) childhood and some of the essays he wrote when he was at school, in 1902, when he was only fifteen. In one of his compositions Francesco describes himself as a boy who gives half a penny to a miserable man. In another one he gives a coin to poor child, to allow him to buy some bread and medicines for his unhealthy mother. In a third one he places himself as the leader of a group of people collecting money for a poor little orphan. In the last writing, analysed, Francesco describes the charity shown by some nuns and priests in a hospital. It seems the anticipated description of his hospital, opened on 5th May 1956.”
Non ho la presunzione di scrivere in modo dettagliato del rapporto di Padre Pio con il sollievo della sofferenza. Mi limiterò ad indicare quelle che per me sono le origini del suo desiderio di alleviare le pene dei fratelli, tenendo presente che per lui l’amore per il bisognoso era ed è tuttora una delle molle del suo costante cordiale rapporto con l’umanità.
Quando si parla o si scrive di Padre Pio, è necessario farlo con cognizione di causa, perché è giusto che lo si veda quale veramente è stato e quale veramente è, e non come noi vorremmo che fosse. Bisogna presentare il Padre santo nella sua essenza, conosciuta attraverso i suoi pensieri, chiaramente espressi nella vita e negli scritti.
Visitando e rivisitando i luoghi del piccolo borgo rurale, in cui egli è nato; andando con la mente ai tempi e alle condizioni di vita, in cui e con cui egli è vissuto, si capisce come in lui, prescelto dal signore, sia nato, fin da quando era bambino, il germe del desiderio di aiutare gli altri, di alleviare le sofferenze dei fratelli.
La cognizione di questa missione, affidatagli dal Signore, è andata via via crescendo in lui, man mano che aumentavano le sue conoscenze. Col passare degli anni, egli percepiva sempre più distintamente che la sofferenza e l’indigenza sono elementi dominanti nel mondo.
In quei luoghi, in cui è nato, fra quelle tante pietre, da cui prende origine il nome del suo paese, avvenne quel cammino formativo voluto dal Signore. In quel semplice pastorello si compì il disegno del cielo per il bene dell’umanità e si realizzò un messaggio forte alla chiesa.
Padre Pio stesso ci dice:
«L’ha voluto Gesù ed è avvenuto tutto lì».
Considerando le circostanze della nascita di Padre Pio, non si può non notare due particolari di significativa importanza: il nome, dato a questo bambino, e il nome della chiesuola, in cui egli fu battezzato. Assonanza meravigliosa fra due Francesco: quello di Assisi e quello di Pietrelcina; e assonanza non meno meravigliosa tra due chiesuole, denominate entrambe “Santa Maria degli Angeli”: quella dell’ Umbria, in cui il Poverello visse la sua meravigliosa esperienza spirituale, e quella della Campania, in cui il primo sacerdote stimmatizzato fu incorporato a Cristo.
Il primo suo aiuto, nel sollievo della sofferenza, Francesco Forgione lo diede ai suoi genitori: dapprima al padre, Grazio Maria, e poi alla mamma, Maria “Peppa”. Lavorò nei campi per alleviare le ristrettezze economiche, che poi costrinsero il padre a partire per l’America, in cerca di fortuna per guadagnare qualcosa in più a favore della sua a famiglia cresciuta di numero.
Visitando i luoghi, in cui Padre Pio è cresciuto, ci si rende conto del contrasto notevole esistente tra la sua figura di benefattore dell’umanità e la povertà estrema di quell’ambiente. Nel contempo, però, si apprezza la grandezza di Dio, che scelse quel pastorello per fare arrivare al mondo, a sollievo dei bisogni e delle sofferenze umane, immense ricchezze, da lui neanche toccate.
Abbiamo detto che Padre Pio fu prescelto dal Signore per alleviare le sofferenze, spirituali e materiali dell’umanità.
Una prova dell’adempimento di questa sua missione risale al 1896, quando egli aveva nove anni. Andato col papà ad Altavilla Irpina, in pellegrinaggio, al santuario di san Pellegrino, assistette ad una scena straziante: accanto a lui c’era una povera madre, che aveva tra le braccia il figlioletto deforme. Quella madre sconsolata piangeva a calde lacrime e pregava san Pellegrino per ottenere la grazia della guarigione della sua creatura.
Raccontando l’episodio, Padre Pio era solito dire:
«Mi immedesimai nel dolore di quella donna e unii lei mie preghiere alle sue».
La grazia fu ottenuta.
Era uno dei primi germi di quel seme del «sollievo della Sofferenza», dal quale nascerà un bosco immenso di piante, alla cui ombra si ripareranno migliaia, milioni, di anime. Era una delle prime gocce di quella sorgente meravigliosa, dalla quale sgorgheranno sorgenti d’acque fresche, che disseteranno innumerevoli persone e famiglie, arrecando loro conforto e sollievo.
A nove anni, dunque, era già forte in lui, il desiderio di sollevare le altrui sofferenze. Una attenta lettura dei suoi scritti giovanili ci conferma questa constatazione e ci indica la misura, secondo la quale quel desiderio cresceva e si rafforzava.
A quell’epoca, cioè all’età di nove anni, Francesco non aveva frequentato la scuola pubblica, ma, come accadeva spesso a quei tempi, era andato da un contadino, un po’ più istruito degli altri, il quale, la sera, vicino al focolare, gli insegnava a leggere e a scrivere. Il metodo di quel “maestro” era quanto mai primitivo e rudimentale.
Sembra che un “pettanacanne”, un certo Mandato Saginario, abbia insegnato a lui ed ai bambini di Pietrelcina i primi rudimenti scolastici.
Ma Francesco voleva farsi «monaco con la barba», Per attuare il suo desiderio doveva raggiungere i quindici anni di età e aver compiuto gli studi ginnasiali. Era necessario, quindi, affidarlo ad un vero maestro, che lo preparasse adeguatamente al suo futuro genere di vita.
A questo punto compare alla sua guida un maestro all’altezza della situazione, Domenico Tizzani, il quale, però, viveva in una situazione morale inaccettabile: “prete spogliato”, conviveva con una donna, che gli aveva dato una figlia. L’incontro con Francesco rappresentò lo scontro di due idee diverse, di due modi antitetici di vivere la propria esistenza.
Il piccolo Francesco passava la sua giornata fra casa e scuola, campagna e chiesa. Correva a servire messa e si terrorizzava, quando sentiva bestemmiare. Intanto continuava a ripetere, a fra’ Camillo e al padre Grazio, che, come detto, voleva farsi “monaco con la barba”.
Francesco non poteva contrastare l’uomo Tizzani. Ricorse, perciò, ad uno stratagemma. Forse per farsi togliere da lui, smise di studiare o almeno non era pronto a rispondere alle domande del maestro. Perciò Domenico Tizzani ne informò mamma Peppa, dissuadendola dal mandare il figlio a scuola. Sarebbe stato più opportuno spedirlo nei campi a guardare le pecore anziché continuare a farlo studiare.
Il papà Grazio era partito per l’America per mantenere Francesco agli studi. Perciò tutta la responsabilità cadeva sulla mamma, la quale, in verità, non era convinta di ciò che Domenico Tizzani sosteneva. Tuttavia tolse il figlio dalla sua guida e gli cercò un nuovo insegnante: Angelo Càccavo.
In un primo momento, per vari motivi, il maestro Caccavo oppose un rifiuto; ma poi, dietro le insistenze della famiglia Orlando, in modo particolare di Giulio, suo cognato, cedette ed accettò Francesco come scolaro. Era l’anno 1901, quando il giovane Forgione aveva quattordici anni.
La situazione si normalizzò. L’apprendiamo da una lettera dello stesso Francesco, scritta, il 5 ottobre 1901, al padre ancora in America:
«Da che mi trovo sotto la guida del nuovo maestro, mi accorgo di progredire di giorno in giorno per cui siamo contentissimi tanto io che la mamma». [1] Epist. IV, 934
Di questo maestro Padre Pio ebbe sempre un sincero ed affettuoso ricordo. Da parte sua il maestro Caccavo ricambiò il Padre di eguale affetto e più volte venne a San Giovanni Rotondo per vederlo e intrattenersi a colloquio con lui. Una lettera di Padre Pio dell’11 maggio 1919 lo conferma: «
Carissimo signor maestro….., io vi ricordo sempre nelle mie deboli preghiere… . Mi stimerei felicissimo, se potessi rivedervi, riabbracciarvi per l’ultima volta qui».
È un invito di Padre Pio ad incontrarlo a San Giovanni Rotondo. Conclude la lettera:
«Vi abbraccio di cuore, pregando che la divina grazia vi preservi e vi sostenga» [2]Ibidem, p.702.
L’idea di aiutare praticamente i bisognosi e i sofferenti era ben chiara e manifesta in Francesco, fin dalla sua fanciullezza. Lo si evince dallo svolgimento delle tracce dei temi del 1902, quando egli aveva appena quindici anni.
I primi componimenti giunti fino a noi sono di questo periodo.
La raccolta, curata dal padre Gerardo Di Flumeri[3]Lavori scolastici., si apre con un componimento, che riguarda l’importanza dello studio e della conoscenza della sapienza, e che Francesco svolse alla scuola del maestro Càccavo.
Si legge in quel componimento, pervenutoci senza traccia:
«[……] La sapienza è quella che dà vita alla ricchezza. Studia e pensa pure che questa un giorno o l’altro potrebbe anche sfumare, mentre la sapienza rimane sempre ed accompagna l’uomo sino alla tomba, e dopo ancora.
Perciò, figlio mio, studia […..]»[4]Ibidem, 63
E’ un invito a sé stesso, che lo ha accompagnato per tutta la vita. Si rileva dal penultimo paragrafo dello stesso tema, che dice:
« [….] procura poi di non dovere più dispiacere alla tua buona genitrice»[5]Ibidem..
Sembra un ricordo del periodo di insegnamento del maestro Domenico Tizzani.
Quel che colpisce la nostra mente, nel leggere i componimenti scolastici di questo periodo, è l’animo di Francesco. Quando descrive la sofferenza, si immedesima talmente in essa da provare forte dolore e s’impegna a voler trovare, ad ogni costo, un mezzo per alleviarla. Ripetiamo che tali componimenti risalgono al 1902, quando Francesco aveva quindici anni e frequentava il primo anno di scuola col maestro Càccavo.
Ma vediamo come in essi l’idea del sollievo della sofferenza si manifesti e si sviluppi.
Molti la fanno risalire ad altri periodi della sua vita. Così il citato Padre Gerardo Di Flumeri, il quale addita nel 26 marzo 1914 l’origine dell’idea dell’Ospedale «Casa Sollievo della Sofferenza»[6]G. DI FLUMERI, Il beato Padre Pio da Pietrelcina, Edizioni “Padre Pio da Pietrelcina”, San Giovanni Rotondo 2001, p. 313. Infatti in una lettera scritta in quella data e indirizzata a padre Benedetto, suo primo direttore spirituale, Padre Pio scrive:
«Nel fondo di quest’anima parmi che Iddio vi ha versato molte grazie rispetto alla compassione delle altrui miserie, singolarmente in rispetto dei poveri bisognosi. La grandissima compassione che sente l’anima alla vista di un povero le fa nascere nel suo proprio centro un veementissimo desiderio di soccorrerlo, e se guardassi alla mia volontà mi spingerebbe a spogliarmi per rivestirlo.
Se so poi che una persona è afflitta, sia nell’anima che nel corpo, che non farei presso il Signore per vederla libera dai suoi mali? Volentieri mi addosserei pur di vederla andar salva, tutte le sue afflizioni, cedendo in suo favore i frutti di tale sofferenze, se il Signore me lo permettesse»[7]Epist. I, 462 – 463.
Sembra che queste parole riecheggino lo svolgimento di un tema scritto nel 1902, e di cui, forse, nel 1914, Padre Pio aveva perso il ricordo, ma non l’idea, che gli era rimasta ben fissa nella mente.
In quel tema, la cui traccia suona così:
«Descrivete il tugurio di un mendico», Francesco, con la sua attenta osservazione, descrive particolari interessanti, che certamente avevano toccato la sua sensibilità.
«Il tugurio sembrava proprio una grotta. Il pavimento era tutto scavato; le quattro pareti tutte nere dal fumo, e ad una di esse stavano sospesi un piccolo tegame, un treppiedi ed una zucca con sale»[8]Lavori scolastici, 65..
La descrizione continua:
«In un cantuccio c’era un po’ di paglia, il giaciglio[….] Ad un altro angolo vi era una piccola cassa, senza coperchio, che gli serviva per conservarvi il pane, […]»[9]Ibidem.
La conclusione? – Eccola:
«L’aspetto di tale bugigattolo mi addolorò tanto che, presa una mezza lira, che avevo in tasca, la diedi al meschino»[10]Ibidem.
In Francesco c’era già il seme del sollievo della sofferenza, ma qui, in questo componimento, quel seme comincia a concretizzarsi e quasi a prendere corpo.
Intenzionalmente non abbiamo voluto commentare il suo scritto, del quale non ci siamo permessi di alterare neppure una virgola. Ci siamo limitati a riportarlo integralmente.
Ma di quel periodo vi sono altri componimenti, che confermano e rafforzano questo nostro convincimento. Essi fanno riferimento anche a medici e medicine. Così il tema, dalla traccia significativa «Chi benefizio fa, benefizio aspetti»[11]Ibidem, 70 – 71., racconta di un ragazzo che, «Promosso agli esami», aveva ottenuto dal padre dei soldi per regalo. Uscito a comprare un balocco, che gli piaceva molto, per strada incontrò «un ragazzo scalzo, lacero nei panni e pallido in viso, che piangeva». «Che hai?», Gli domandò. Il ragazzo, piangendo, rispose:
« Ho la madre ammalata da parecchi mesi, ho fame, freddo e non ho come procurarle le medicine».
Giovannino, il protagonista del componimento, «mosso a compassione, presa la moneta che aveva in tasca e gliela diede dicendo:
« Vá a comprare il pane e le medicine; perché io posso fare a meno del balocco che volevo comprare » [12]Ibidem, 71..
Nel tema n. 10 del 18 agosto 1902, ancora più appassionato ed accorato diventa l’impegno per aiutare chi soffre. La sua descrizione e il modo come quell’impegno è proposto ci danno l’impressione che anche noi siamo partecipi dell’azione e della sofferenza.
Il tema porta la seguente traccia:
«Povera bimba! Fate nota la sua disgrazia ad un vostro amico»[13]Ibidem, 72 – 74 e racconta di una ragazza che, dopo aver perso il padre per una lunga malattia, perdette anche la mamma, gravemente ammalata da molto tempo.
L’impegno della famiglia fu notevole: «Vendettero le loro poche masserizie».
Francesco Forgione non rimase inerte e passò subito all’azione. Come? – Scrive:
«Io ed altri amici, per aiutarla, ci siamo posti a capo di una colletta, per rendere meno amara l’esistenza dell’infelice»[14]Ibidem, 73 – 74..
Forse il clou di questo suo pensiero Francesco lo raggiunge nel tema 23, la cui traccia suona così: «Scena straziante»[15]Ibidem, 89 – 90. La scena è ambientata in un ospedale. Francesco, il futuro Padre Pio, scrive:
«Saliti al primo piano, entrammo in una stanza dov’era una fila di letti per bambini, assistiti da una suora di carità, che, in quel momento, accarezzava uno di loro, il quale piangeva; e per farlo acchetare, gli dava dei balocchi».
Poi continua:
«Oh quanto sono buone ed amorose quelle suore! Esse amano i bambini come se fossero loro figli, e i vecchi loro fratelli e sorelle».
Sembra di vedere l’attuale ospedale di Padre Pio.
Lo svolgimento del componimento continua dicendo che vicino ad un ammalato grave vi era «un’altra suora ed un vecchio sacerdote» per infondere coraggio e rassegnazione. «La povera suora sentivasi spezzare il cuore… , perché lo stato dell’ammalato era disperato».
L’ammalato muore. Francesco Forgione, il futuro Padre Pio, così conclude:
«Chi può immaginare il dolore che provai a quella scena? Per due giorni non mi fece cuore di mangiare, tanto ero rimasto scosso a quella vista straziante»[16]Ibidem, 90.
***
Padre Pio si trova di fronte al mistero del dolore, incomprensibile per la mente umana. Mistero assurdo!
Per lui, però, che era entrato nel Trascendente, il mistero non era né incomprensibile e né assurdo.
Nella luce soprannaturale della fede, Padre Pio:
dava un significato alla sofferenza;
l’accettava perché ne aveva capito il senso.
La nobilissima idea per il sollievo della sofferenza dell’umanità, nata in lui fin dall’infanzia, si concretizzò il 9 gennaio 1940, quando, ai dottori Mario Sanvico e Carlo Kiswarday, manifestò il suo pensiero di voler erigere un’opera ospedaliera. Senza non molte difficoltà, passò all’atto pratico, il 19 maggio 1947, quando iniziarono i lavori per la costruzione della Casa Sollievo della Sofferenza. Il 5 maggio 1956, il cardinale Lercaro benediceva e inaugurava l’opera.
Ci piace ricordare le parole dette da Padre Pio ai medici, il giorno seguente l’inaugurazione del suo ospedale:
«Voi avete la missione di curare il malato; ma se al letto del malato non portate l’amore, non credo che i farmaci servano molto. Portate Dio ai malati: varrà di più di qualsiasi altra cura. Nel malato voi curate Cristo; nel malato povero voi curate Cristo due volte! ».
Per il sollievo della sofferenza, oltre i Gruppi di preghiera e la Casa Sollievo della Sofferenza, ci sono altre numerose opere.
Tutte hanno Lui come autore e promotore.
Pietro Gerardo Violi Medico chirurgo IIRCCS Ospedale Casa Sollievo della SofferenzaNote
↑1 | Epist. IV, 934 |
---|---|
↑2 | Ibidem, p.702 |
↑3 | Lavori scolastici. |
↑4 | Ibidem, 63 |
↑5 | Ibidem. |
↑6 | G. DI FLUMERI, Il beato Padre Pio da Pietrelcina, Edizioni “Padre Pio da Pietrelcina”, San Giovanni Rotondo 2001, p. 313 |
↑7 | Epist. I, 462 – 463 |
↑8 | Lavori scolastici, 65. |
↑9, ↑10 | Ibidem |
↑11 | Ibidem, 70 – 71. |
↑12 | Ibidem, 71. |
↑13 | Ibidem, 72 – 74 |
↑14 | Ibidem, 73 – 74. |
↑15 | Ibidem, 89 – 90 |
↑16 | Ibidem, 90 |